Corteggiamento e fiori d’arancio
Come sbocciavano amori fidanzamenti e matrimoni nell’isola d’Elba degli Anni ‘50
Personalmente, il termine corteggiamento (da noi corte) mi suscita l’idea di serenate, fiori, piccoli o grandi omaggi, attese, sospiri, biglietti e lettere d’amore, trepidazioni, speranze, illusioni o delusioni. Naturalmente è un termine demodé, d’antan, perché oggi quella fase romantica, impegnativa e faticosa, che precedeva il fidanzamento o lo negava inesorabilmente, quasi non esiste più. Neppure la generazione nata nel secondo dopoguerra l’ha vissuta, se non molto marginalmente, perché la rivoluzione culturale del ’68, come un uragano, ha spazzato via tutto e ha proposto e imposto maggiore sincerità di rapporti tra i sessi e una libertà sessuale ignota ai nostri nonni e genitori, abbattendo tabù e valori secolari mescolati a preconcetti e ipocrisie. Così, il corteggiamento è finito in soffitta, insieme alle cianfrusaglie d’altri tempi, come un vestito fuori moda, un cappellino con veletta, un boa di penne di struzzo. Di corte non ce n’era più bisogno: certo, resisteva, all’alba di un nuovo possibile amore, il gioco degli sguardi, un contatto più stretto durante un lento, una carezza timida e il sussurro di un Mi piaci, ti voglio bene ad una festa in casa, come usava negli anni ‘60 e ‘70; ma la risposta alla dichiarazione era attesa e pretesa quasi subito. Si trattava di dire un sì o un no, per trovarsi da un momento all’altro fidanzati. Non c’era bisogno insomma di tutte le strategie di conquista dispiegate dai nostri genitori. Oggi, i nostri figli sono ancora più impazienti: probabilmente con Sms si comunicano un’emozione, un sentimento o semplicemente un gradimento fisico, un apprezzamento.E il destinatario ci sta o non ci sta. Temo che il linguaggio sia spesso poco romantico e che le tappe siano velocemente bruciate. Ma sicuramente anche oggi esisteranno le eccezioni e forse, me lo auguro, sarà scomodato il verso di qualche poeta o un aforisma azzeccato per sedurre. La sposa portava la dote, che dipendeva naturalmente dalle disponibilità della famiglia e che poteva comprendere beni di notevole valore, ma tutte le giovani, anche le più povere, offrivano in dote almeno il corredo, ossia la biancheria di casa e personale, che pazientemente, fin da quando erano bambine, le loro mamme avevano cominciato a custodire per loro, oggetto dopo oggetto, dentro un baule profumato di spighe di lavanda: lenzuoli, tovaglie, asciugamani, camicie da notte… Chissà quanti voti di felicità per le spose future avranno riposto le mamme tra quei lini, quelle sete, quelle tele di Fiandra! Oltre alla dote materiale, la sposa ne doveva possedere una fisica, intima, personale: la verginità. Per questo i due innamorati non erano mai lasciati soli: un fratello, una sorella dovevano accompagnarli nelle loro passeggiate svolgendo lo sgradito ruolo di reggere la candela.
La corte era un banco di prova: sondava la profondità dell’interesse e la capacità di pazientare; dimostrava, con lettere affettuose, richiesta di appuntamenti, omaggi floreali, esibizione di serenate, coinvolgimento di intermediari nella perorazione della causa, il grado di coinvolgimento emotivo, la sensibilità, l’affidabilità, la disponibilità a legare per sempre la propria esistenza a quella di un’altra persona. Per sempre. Il matrimonio era indissolubile, quindi la scelta del partner doveva essere oculata e vagliata in tutti i suoi aspetti. Lunghi appostamenti sotto casa, incontri apparentemente casuali, bigliettini fatti pervenire attraverso amiche/amici compiacenti, avviavano la corte. Poi, se tutto andava per il verso giusto, ci si cominciava a parlare. Ogni paese aveva i suoi luoghi deputati, appartati ma non troppo: una viuzza discreta, un portone, un voltone, un muretto sul lungomare, l’ombra di una tamerice sulla spiaggia, una panchina dei giardinetti, un angolo di prato fiorito, magari a S. Caterina a Rio o alla Cappella Tonietti al Cavo, il giorno di Pasquetta. Ci si parlava a quattr’occhi, finalmente, imparando a conoscersi e passando a codici linguistici e comportamentali meno formali. Se il cuore cominciava a palpitare in entrambi i petti, era difficile mantenere la segretezza della nuova gemma d’amore che stava per schiudersi. La notizia girava e passava di bocca in bocca (Ma lo sai che Tizia si parla con Caio! ); la famiglia della ragazza allora stava all’erta, aspettando il secondo passo importante dell’aspirante genero, ossia la chiesta, cioè la richiesta ufficiale di poter frequentare coram populo l’innamorata, con la presentazione di sé e la dichiarazione della serietà delle proprie intenzioni. La prima volta del fidanzato era un avvenimento da batticuore: se tutto andava per il verso giusto, da lì a poco ci sarebbe stata la festicciola del fidanzamento ufficiale con tanto di scambio di anelli, impegno matrimoniale e mazzo di rose rosse. Da allora, i due fidanzati erano promessi, fino al gran giorno, quando, dopo la vestizione, col rigoroso abito bianco, simbolo della sua verginità, e il mazzolino di fiori d’arancio, la sposa, emozionantissima, al braccio del padre, si metteva alla testa di un corteo che procedeva a due a due, uomo e donna, verso la chiesa, dove il futuro sposo, elegante nel suo abito scuro, attendeva impaziente all’altare l’arrivo della sua promessa. Dopo la cerimonia e l’omelia del sacerdote, i neosposi si concedevano all’abbraccio e alle lacrime di parenti ed amici. E finalmente apparivano sulla porta della chiesa, accolti dai lanci di riso e dagli auguri degli astanti, ai quali rispondevano gettando a loro volta manciate di confetti. Per i bambini e i ragazzi era allora un gioco e una gara accaparrarsene il più possibile, intrufolandosi per raccoglierli tra le gambe dei presenti.Quindi si componeva il corteo degli invitati, guidato ora dai due sposi emozionati e felici, che guidavano tutti al luogo del rinfresco, dove ad attenderli c’era una meravigliosa tavola apparecchiata con porcellane e cristalli e torte, pasticcini, frangette e cioccolata calda per la delizia di tutti i palati. Al rinfresco, entro la giornata, seguiva la partenza per il viaggio di nozze. I due sposini, vestiti con abiti nuovi ed eleganti, venivano accompagnati al porto dal rumoroso codazzo di amici e parenti; poi, la nave in partenza col prezioso carico scomodava persino il suono della sua sirena in segno di festa e di commiato.
Questo articolo è stato scritto da Maria Gisella Catuogno per il magazine di promozione turistica Elba Per2 (Edizione 2014).